Il vero alpinista (visto dalla moglie)

Avvertenza: evitare la lettura se si è alpinisti permalosi

Il vero alpinista si riconosce nell’età adulta: se gli impegni di lavoro e di famiglia non lo distolgono dalla montagna, allora si tratta di vero alpinista. Egli rivendica davanti a moglie, figli e colleghi il suo bisogno di sfogarsi, altrimenti diventa nervoso. La sua non è solamente una passione ma una necessità, un bisogno fisico e una dipendenza. In media, se è nell’età lavorativa, è consigliabile lasciarlo scarpinare per i sentieri montani almeno due volte la settimana, di solito il sabato e la domenica. Se disgraziatamente ciò non potesse accadere e riuscisse a trascorrere solo una mezza giornata tra le montagne, il lunedì lo sentirete già lamentarsi con un «Non mi è servito a niente, sono già nervoso». Se poi, a causa delle pessime condizioni atmosferiche o per un’urgenza di lavoro, non riuscisse neppure a passare mezza giornata tra i monti, meglio stargli alla larga per il resto della settimana: i suoi dialoghi si limiteranno a grugniti e imprecazioni.

Se è nell’età pensionabile, il vero alpinista ha molto a cui pensare perché ha già percorso tutti i sentieri della zona, delle province vicine, delle regioni limitrofe, delle nazioni confinanti e a volte dei continenti oltreoceano. È abbonato a cinquanta riviste di montagna e la sua biblioteca conta almeno mille volumi sull’escursionismo, cinquecento con itinerari scialpinistici e un centinaio sulle vie d’arrampicata (più che altro per il figlio). Mediamente, la frequenza imposta è di un giorno su due, ma se gli impegni glielo permettono, possono diventare anche otto giorni su sette.

Il vero alpinista vìola tutte le leggi della fisica per le quali bisogna fare fatica per raggiungere la cima di una montagna. Egli gode di fronte alla fatica. Tremila metri di dislivello in due ore sono un gioco da ragazzi. Se poi incontra sul suo cammino una tromba d’aria, egli spera che lo porti a valle piuttosto che fargli guadagnare la cima, così si divertirà ancor di più a risalire. Spesso smarrisce la retta via, nel senso che sbaglia sentiero. Ma non lo ammetterà subito. Vi farà percorrere almeno un’ora sul sentiero sbagliato e poi, quando non potrà più nascondere il suo errore, dichiarerà candidamente che bisogna tornare indietro. Ritornati al punto in cui si era intrapreso il cammino sbagliato, dirà che quella segnaletica ce l’ha messa un co… Nel caso in cui manchi la segnaletica davanti a un bivio con due sentieri, uno che sale e l’altro che scende, non ha dubbi e imbocca, senza batter ciglio, quello in salita, anche se la gita è finita e sta scendendo al parcheggio dove ha lasciato l’auto. Se entrambi i sentieri sono in salita, di sicuro quello giusto è il più ripido.

Il gergo dell’alpinista è bizzarro e colorito. L’arrampicatore, per dire che un passaggio è duro e pensa di non farcela, usa la frase “non starei su nemmeno pitturato” e se lungo la scalata incontra qualche ciuffo d’erba, piccolo alberello o fiorellino, afferma che sulla via c’è della verdura.

L’arrampicatore è felice di far assistere la moglie alle sue performance. La consorte lo ammira con lo sguardo rivolto verso il cielo e pensa alla sua povera cervicale che già le sta dando chiari segnali ma, estasiata e preoccupata, continua a seguire la figurina del marito che leggero si solleva su invisibili appigli. Allora le viene la malsana idea di provare anche lei, ma su una via più facile. Egli la attacca a un quarto grado, dove lei comincia a lanciare urlettini e a ruotare su se stessa. Per giustificarsi, il marito le giura che quella era la via più facile della falesia.

A volte, per mancanza di un compagno, il marito arrampicatore assicura la moglie dall’esile peso a un cespuglio, per fargli da sicurezza. Il contrappeso generato dalla moglie è ben al di sotto, però, del sottopeso della figura snella del marito, il quale, quando decide di riposarsi lasciandosi sospeso a un chiodo, fa alzare dal suolo la moglie per un metro. Ma solo se il cespuglio non si sradica.

Il vero alpinista è capace di rinunciare a una cima solo se il pericolo per la sua vita e quella dei compagni è reale. Altrimenti si sale ugualmente. La visione del panorama è un aspetto secondario, un optional di lusso. L’importante è conquistare la vetta, divertirsi a fare fatica, cercare tra la nebbia o la tormenta di neve la propria strada in salita e rendersi conto di essere arrivati in cima solo perché, da qualsiasi parte si cerchi di proseguire, si andrà sempre in discesa. Quando, invece, il pericolo è reale, il vero alpinista non mette a repentaglio la sua vita e quella degli altri. Deciderà per un itinerario alternativo, possibilmente più lungo e con maggior dislivello di quello a cui ha dovuto rinunciare e per convincervi a farlo anche voi, che invece siete disposti a rimanere al rifugio, vi dirà che poi non si torna più da lì. Invece poi si ripassa ancora, ma voi, esausti, non avrete la forza di farglielo notare.

Se la moglie dell’alpinista accetta di seguirlo, i casi sono tre:

a) la moglie ha una forte resistenza fisica e segue costantemente il marito ormai da anni, in quanto spera di diventare santa avendo dedicato la sua vita all’altro.

b) la moglie maledice il momento in cui ha accettato di seguire il marito in un’innocua, breve passeggiata tranquilla. Infatti, solo durante il percorso, il marito le dice che ci sono duemila metri di dislivello ma che il sentiero rende e ci si mette poco. Quando la moglie gli fa notare che sono già tre ore che camminano senza fermarsi e la cima è ancora lontana, il marito la rimprovera seccato: «Per forza, con questo passo!» Quando poi, stremata dalla fatica, dalla fame, dalla sete e dall’ipoglicemia si mette a camminare a quattro zampe con la bava alla bocca, il marito si gira e con lo sguardo da bambino felice, innocente e sorridente le chiede «Cosa c’è?» la moglie decide che non lo seguirà mai più.

c) la moglie a volte segue il marito ma, quando decide di farlo, la nebbia, il vento, la pioggia non mancano mai. Spera che il marito le dica di tornare indietro. Nein! Proibito rinunciare alla cima per così poco.

Il tipo a) e c) hanno imparato con l’esperienza a tenere sempre a portata di mano almeno qualcosa da mangiare, così da non interrompere il cammino. Il loro motto è: di necessità, virtù…

In ogni caso il vero alpinista non ha bisogno di nient’altro fuorché di camminare. Il dislivello è il suo carburante, le gambe la sua bocca. Mangia metri e metri di dislivello, passo dopo passo, senza mai fermarsi, senza bere, senza nutrirsi. Lui non ne ha bisogno e non riesce proprio a capire come mai la moglie ha invece sempre necessità di bere e mangiare. Ne deduce che è un essere inferiore e con fare di compatimento accetta, suo malgrado, una sosta di qualche minuto sulla cima.

A volte la moglie ha problemi con gli scarponi. Per esempio le si è slacciata una stringa, ma non osa fermarsi a riallacciarla. Le conseguenze di una simile decisione potrebbero essere:

a) se si ferma a riallacciarla senza disturbare il cammino del marito, si ritroverà dispersa tra le montagne perché lui, nel frattempo, avrà già guadagnato un’altra valle

b) se avvisa il marito, è quasi sicuro che non arriverà mai in cima perché sbranata dal marito stesso, costretto a interrompere il suo passo perfetto.

La soluzione è quindi continuare con la stringa slacciata fino in cima, quando il marito concede sempre qualche minuto di riposo. Se il problema dovesse averlo il marito, tale problema sarebbe inesistente. Infatti se ne accorgerebbe solo nel momento in cui, alla fine della camminata, si ritroverà a togliere gli scarponi, contento perché avrà un nodo in meno da sciogliere. Ma è proprio mentre entrambi si tolgono gli scarponi che la moglie risorge dal suo malumore. Sulle sue labbra compare un sorrisetto soddisfatto che le fa pregustare il piacere di raccontare ad amici e parenti l’impresa titanica appena compiuta. Dopotutto ne è valsa la pena!

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